L’Italia è ancora indietro sul fronte dell’adesione agli screening di prevenzione oncologica: meno del 40% della popolazione target in Italia è sottoposta a screening per il cancro al collo dell’utero rispetto a una media UE del 56%. Cancro al polmone e alla prostata non sono ancora inclusi nei programmi di screening del Servizio Sanitario Nazionale, nonostante i recenti investimenti. Notevole il divario tra nord e sud Italia nell’adesione ai programmi di screening per il tumore al seno: il sud presenta attualmente un tasso del 23% della copertura per la popolazione target, contro il 63% del nord. Per quanto riguarda uno dei tumori più diffusi, quello del colon-retto (terza neoplasia negli uomini e seconda nelle donne, secondo il Rapporto “I numeri del cancro in Italia 2023”), solo il 77% della popolazione target viene invitata allo screening e in regioni come la Sicilia meno del 20% si avvale di questa opportunità. Sono questi alcuni dei dati emersi dal “Report Nazionale per l’Italia”, redatto dalla European Cancer Organisation (Eco) in collaborazione con la Fondazione Umberto Veronesi. L’obiettivo, sottolineano i ricercatori di Eco è dunque quello di sviluppare “metodi innovativi per migliorare, promuovere e rendere accessibile a tutti i cittadini la diagnosi precoce del cancro”, perchè “migliorando lo screening dei tumori, è possibile salvare migliaia di vite“. Le ragioni della scarsa adesione agli screening, evidenziano i ricercatori, “sono molteplici, ma queste lacune contribuiscono a spiegare perché in Italia i pazienti vengono diagnosticati quando sono già in stadi più avanzati del tumore, rispetto al resto d’Europa. Ciò ha un impatto diretto sugli esiti e sulle possibilità di sopravvivenza dei pazienti“. Da qui una serie di raccomandazioni specifiche tratte dal Manifesto europeo contro il cancro per il 2024 redatto da Eco, in cui vengono evidenziate le migliori pratiche che possono essere intraprese a livello nazionale, tra cui il miglioramento della consapevolezza nel pubblico condividendo più informazioni ed il monitoraggio dei gruppi ad alto rischio, come le persone affette dai virus dell’epatite B ed epatite C, capaci di causare tumori.
Antonella Pitrelli